martedì 28 maggio 2013

Videogiocatori usati, come nuovi

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È stata una settimana dura, durissima, per chi segue con una certa regolarità le discussioni sui giochini elettronici nell'interwebs; la presentazione di xbox One è stata un tale fallimento mediatico da far parlare di sé per una settimana intera, una finestra di tempo enorme per gli standard da fast food dell'informazione online. Poche piattaforme al loro primo contatto con il pubblico, un momento in cui si dovrebbe entusiasmare il pubblico con poco, sono state salutate con pernacchie, lancio di pomodori pelati ancora nei barattoli e insulti sulle potenziali disfunzioni erettili dei presentatori come la nuova creatura Microsoft.
Vero, l'interwebs ha il vizio di prendere tutto sul personale e non conosce limiti alla propria vis polemica, ma le critiche alla macchina da gioco della casa di Redmond sono così universali da chiedersi se, tutto sommato, per una volta non siano tutte piuttosto fondate. Alcune sono più legate alla forma della presentazione, estremamente americanocentrica e focalizzata su servizi che poco hanno a che vedere con quella che dovrebbe essere la funzione principale di una piattaforma di gioco, cioè giocare.


Chiedere 5 dollari di Live al mese per sfruttare i 70 spesi per l'abbonamento alla tv via cavo, per giunta assolutamente funzionale senza bisogno di altri scatoloni fra le balle, è GENIO PURO.

Altre invece vanno a toccare più nello specifico il modo stesso con cui abbiamo sempre usufruito delle console e dei loro giochi. E là, specialmente là, le critiche non solo sono fondate, ma assolutamente sacrosante. Sono due i punti, per giunta vigliaccamente non esposti durante la presentazione ma lasciati svolazzare fra un cinguettio e l'altro di Twitter nelle ore successive, che hanno alzato un coro unanime di sdegno: la necessità di una connessione internet per autenticare ogni giorno il proprio account e il (semi)blocco al mercato dell'usato.
Ora, con molta calma e senza tirare BBBUGNI fortissimi contro il muro, tratterò soltanto il secondo.



Io non sono uno che compra parecchi giochi usati. Anzi, direi che è una cosa che non faccio mai, a meno che non si tratti di qualche perla di retrogaming. Né ho mai portato roba che non uso più in qualche negozio in cambio di cash o sconti su nuove uscite, ché ho sempre pensato che alla fine mi convenisse meno di quanto potesse sembrare a primo acchito.
Ciò detto, l'idea di ammazzare il mercato dell'usato con licenze a singolo uso, o nella migliore dell'ipotesi con una decina di dollari di "tassa sull'usato" su ogni copia di seconda mano, è disgustosa, limitante e, personalmente, contraria a qualsiasi etica commerciale. Ne parlai qualche mese fa, se vi ricordate. Se non ve lo ricordate, dateci un occhio. Parla di Barbapapà, ma soprattutto spiega già subito perché sia una cosa sinceramente immorale.
E non pensiate che stia parlando di Microsoft, che ritengo poco più dell'ambasciatore di una proposta che circola in certi ambienti da almeno un lustro; niente mi leva dalla testa che questa ideuzza non sia di qualche droide protocollare di stanza a Redmond, ma piuttosto di simpatici colossi dell'entertainment come Ubisoft, EA e Activision. Sono loro e soltanto loro che da anni provano in tutti i modi a fotter massimizzare i propri introiti su ogni copia fisica presente sul mercato, sono loro che sono venuti fuori con gli Online Pass, i DLC nei negozi il giorno dell'uscita, le edizioni limitate che valgono quanto un gioco liscio di dieci anni fa, i preordini e le microtransazioni in giochi da settanta euro che, per definizione, non ne avrebbero proprio bisogno (ho già fatto una transazione e col piffero che era micro; ora voglio tutto e lo voglio subito).



Questi colossi non sono cattivi, intendiamoci. Sono semplicemente stupidi. Hanno una visione del mercato così ottusa da non capire perché continuino a perdere soldi. Non si mettono seduti al tavolo e si chiedono cosa abbiano sbagliato in fase di progettazione se un gioco che ha venduto milioni di copie come Tomb Raider sia un fallimento economico, non prevedono come certi franchise siano destinati naturalmente al declino quando sovrasfruttati né cambiano le proprie strategie d'uscita quando al terzo fps militare producono meno introiti di un concerto di Nilla Pizzi.
Loro non sbagliano. Voglio dire, pagano centinaia di migliaia di dollari professionisti che spieghino loro perché sono i migliori al mondo nel settore.
Sono piuttosto gli altri, sempre gli altri, che stanno rubando loro denaro. E quindi mena Blockbuster che noleggia i giochi. E quindi picchia il pirata che pirata. E, infine, rompi le ossa al tipo che tira su dieci euro con la sua copia di Call of Battle 15 e alle catene di negozi che hanno la faccia tosta di fare business sul mercato dell'usato invece di morire in silenzio, visto il margine di guadagno su ogni copia nuova venduta (due euro su settanta; fate voi).
I publisher sono sull'orlo del precipizio, con un mercato che rischia di implodere come negli anni Ottanta portandosi un sacco di gente con sé, e l'unica soluzione che hanno trovato per respingere il fantasma della contrazione del mercato è stata cancellare ulteriori diritti al consumatore, annichilendo nel processo l'indotto creato dalla compravendita di titoli usati. Stanno barattando la nostra libertà di consumatori e, scusatemi la demagogia, migliaia di posti di lavoro per qualche anno in più in prima fila sull'abisso, come se il vuoto che li risucchierà prima o poi si sposti da solo se resistono abbastanza.

E ora aspettiamo l'E3. E le sorprese che temo arriveranno da parte di altri ambasciatori. Intanto, con garbo e discrezione, rispolveriamo le nostre cartucce del NES. Che provino a levarcele, se hanno il coraggio.

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4 Response to Videogiocatori usati, come nuovi

Francesco Mele
28 maggio 2013 alle ore 19:28

Un capolavoro. Peccato sia TUTTO dannatamente vero. La crisi del mercato videoludico c'è e la stiamo vivendo in prima persona. Io direi che è il caso di inventarsi un circuito virtuale a mò di Steam che permetta di avere una larga scelta di giochi Indie da comprare. Il futuro sta in questo tipo di giochi secondo me. Ecco diciamo che se Kickstarter creasse un sistema di distribuzione digitale, come Steam o Origin, per i videogiochi che decidi tu di finanziare, molte delle case distributrici di viggì crollerebbero. Una in particolare mi auguro che affondi.....EA. Prima o poi la pagherete per avermi rovinato ME3!

Lokeebot
28 maggio 2013 alle ore 19:30

ME3 non esiste, del resto, è chiaramente un'allucinazione collettiva.

Francesco Mele
28 maggio 2013 alle ore 19:41

Ma certo. E questo è successo solo perché siamo stati indottrinati tutti quanti dai rEApers.

Lokeebot
28 maggio 2013 alle ore 19:57

Non mi parli della TI; se penso a quanti ci credevano davvero, tuttora mi piscio sotto dal ridere.

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