martedì 12 marzo 2013

L'amore al tempo degli Rpg

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Ti ricordi com'era? Eravamo io e te, contro un'ambientazione pervasa di maligni ai quali avremmo dato una sonora lezione. Un po' alla volta.
I presupposti erano eccellenti. Grafica sfavillante, per i tempi, dialoghi brillanti e un'ambientazione vasta e tutta da scoprire, nella quale muoversi in libertà.
Mi avevi scelto tra i tanti personaggi disponibili. Forse devo ringraziare i programmatori, entità divine senz'altro (io non li ho mai visti), ché mi avevano fatto proprio corrispondente ai tuoi gusti. Un personaggio non troppo sbilanciato in nessuna caratteristica, versatile, se vogliamo. Io, come gli altri che non scegliesti, volevo piacerti a tutti i costi.

Ti ricordi com'era? All'inizio sì che ci divertivamo! Dovevo essere interessante e divertente e livellare alla svelta, ma le missioni erano semplicissime e i nemici da accoppare liquidabili con nonchalance. Una bazzecola.
Non sapevo perché, ai tempi, ma tutti i vari lanci di dadi mi riuscivano splendidamente. Li definirei dei veri Successi Critici. Non sapevo perché, ma penso fosse grazie a te, alla tua influenza. Mi giocavi bene. Sapevi quello che ci voleva perché io riuscissi nelle missioni che i miei miseri punti ferita mi consentivano di affrontare e le monete d'oro guadagnate erano spese con oculatezza per il mio equipaggiamento, scarno se vogliamo ma funzionale e ben calibrato.

Era free-roaming, il nostro. Il tuo. Ci divertivamo, anche se a volte alcuni dialoghi non erano granché, ma lo sai che ci divertivamo. Giocavi con me fino a notte fonda, dimentica di tutti gli impegni e di tutte le aspettative del mondo esterno, e io, pur essendo un modello diciamo un po' datato, ronzavo per ore, cercando di attutire il rumore della ventola (che non è mai bello, via!), a costo di surriscaldare tutto quanto e fare un gran macello. Ma riuscivamo a ridere anche degli sporadici rallentamenti.
Ero in pieno overclock, perché volevo che capissi, che ti rendessi conto che c'era tanto da esplorare, nuove armi magiche e tesori da scoprire. Mi sentivo a casa mia, con te, e se tu dicevi di attaccare quella marmaglia goffa e male organizzata che erano i nostri nemici, se dicevi di attaccarli con l'arco anche quand'erano vicini io lo facevo, e il più delle volte funzionava anche. Avrei preferito indossare una bella corazza di fattura nanica, di quelle che avrebbero assorbito gli urti, non costringendomi a leccarmi le ferite lontano da occhi indiscreti (i tuoi), ma andava bene così.
Non salvavi spesso: non avevi paura, e andavamo liberi di villaggio in villaggio, ansiosi di metterci alla prova, fino al prossimo nemico, fino al prossimo mercante che avrebbe avuto, ne eravamo entrambi sicuri, armi e armature migliori.

Perfino nella terra degli Uccelli del Paradiso – ritengo si chiamassero così perché quello era il paradiso –, quando la Ram era satura e, mi vergogno un po' a raccontarlo, scattavo e avevo problemi con le ombre e l'anti-aliasing, perfino lì eravamo risultati vincitori. Pure con quel brutto scherzo dei programmatori di farti sparire l'equipaggiamento, cazzo, avevamo dominato!



Poi è arrivato il mostro. Quel mostro. Ok, ammettiamolo: eravamo degli sprovveduti, non avevamo nessuna pozione e le mie armi erano alquanto obsolete. Combattevamo insieme e morivamo, e morivo sempre a un passo dalla vittoria.
Per troppe volte, me ne rendo conto, sono morto.
Quel mostro impalpabile, come una densa foschia, onnipresente eppure difficilmente individuabile, continuava a battermi. Io rovinavo al suolo e tu con me. Abbiamo provato innumerevoli  tattiche, ma finivano puntualmente per fallire, spesso in maniera rovinosa. 
Quell'aura magica, quel +1 a tutti i lanci, era diventata una nebbia che mutava malignamente i miei Successi Critici in Fallimenti Critici. Crollavo. Crollavamo. E ancora. E ancora. E ancora.
E a nessuno piace perdere, si può amare il perdente di un libro o di un film perché alla fine dell'opera sappiamo che, magari a malincuore, ci libereremo di lui.

Io non capivo. O se capivo, capivo male, e quando avevo qualche intuizione la tenevo per me, perché era così brutto quando dopo l'ennesima sconfitta mi guardavi sbuffando, delusa, e selezionavi “Esci dal gioco”.
Come mi avevano insegnato, ti ammonivo con un “Se esci ora perderai tutti i progressi non salvati”. Ma quali progressi? Cliccavi su “sì” e io me ne andavo e ti lasciavo alle tue cose, ad altri giochi.

Innumerevoli volte ho maledetto, davanti a te ma soprattutto tra me e me, quel deprecabile essere maligno, e pensavo che magari equipaggiando quella spada, oppure tornando in quel villaggio per ricomprare quel talismano da noi disavvedutamente venduto in cambio di pochi spiccioli (mercanteggiare non era il mio forte, ma questo lo sapevi), ce l'avremmo potuta fare.
Poi, una volta, dopo l'ennesima sconfitta, con tanto di telecamera dall'alto a riprendere il mio corpo martoriato, ho visto, e ho sentito, che era l'ultima volta.
Avrei avuto tante cose da dirti. Idee, tattiche, trucchi. Forse avrei dovuto consigliarci di andare prima da altre parti, per livellare, crescere insieme con nuove abilità, e dopo spaccargli il culo in pompa magna. Definitivamente. Ma non sei più tornata, perché era impossibile andare avanti, e abbassare il livello di difficoltà non ti avrebbe dato nessuna soddisfazione.

Mi hai lasciato per molti, moltissimi mesi a occupare spazio nel tuo hard disk. Quando ho insistito affinché tu scaricassi i nuovissimi aggiornamenti (cagate, perlopiù, è vero) con continui pop-up mentre facevi altre cose, hai fatto bene a disinistallarmi.
Allora ho avuto un momento di lucidità. Non c'era nessun mostro imbattibile, nessuna nebbia a tramutare 20 in 1. I nemici veri erano la scrittura raffazzonata e confusa, la mancanza d'idee. La Noia, la Noia di novantanovesimo livello, impossibile da sconfiggere perché eterea, inconsistente. Altro che armi magiche o tattiche o pozioni curative, era arrivata la Noia e – il protagonista di un videogioco non dovrebbe mai dirlo, ma tant'è – giustamente tu eri andata via e non ero più l'eroe di nulla.
Ero bloccato e saremmo potuti andare ovunque senza più essere felici, senza level-up né punti abilità né niente.

Sono stato spazzato via, il mio mondo è scomparso e sono finito nel limbo dei giochi mai finiti, degli eroi dimenticati, dove anche se non ci crederai continuo a combattere contro i soliti nemici. A volte sembrano nuovi, magari ancora più maligni, ma quel che è peggio è che non ci sei tu a equipaggiarmi di tutto punto, girandomi attorno con la telecamera per vedermi nella mia nuova armatura, pensando e dicendomi, a volte, che sono un gran bel personaggio e che faremo grandi cose, insieme.
Forse è vero, come dicesti, che non è un problema mio, ma tuo, che ti sono venuti a noia i videogiochi, ma ha una qualche importanza?
La Noia di novantanovesimo livello, che sempre sia dannata, ha vinto anche me.

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3 Response to L'amore al tempo degli Rpg

13 marzo 2013 alle ore 14:37

oddio mi viene quasi di piangere... potrebbe sembrare un post da nulla, per qualsiasi persona che non ami i videogiochi, ma per me è stato molto toccante. Chissà quante parolaccie avrebbero da dirmi tutti i personaggi che ho creato e abbandonato nella mia carriera rpgistica.

ziomele
13 marzo 2013 alle ore 15:39

Un nodo alla gola...

15 marzo 2013 alle ore 11:35

Bellissimo articolo :'(

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