martedì 27 novembre 2012

Morte - Parte seconda

Etichette:





Così procedevo, tra ottimi liquori e buon vino nella mia casetta, calde, intense e brevi avventure davanti al fuoco, inesauribili libri ricchi di saggezza, e risate tra amici in fumosi pub accoglienti.
In un turbine continuo. Senza sosta. Senza quiete. Senza silenzio. Senza lucidità.
Così procedevo, e non mi dispiaceva, perché gli amici erano veri, le donne erano belle, i libri interessanti e gli animali buffi e curiosi.
Non mi dispiaceva perché ero abbastanza bello, abbastanza forte, abbastanza intelligente, abbastanza sano. Ero persino abbastanza buono e abbastanza bravo; e mi piaceva questo casino.
E il vino era davvero buono.
Così procedevo, finché qualcosa non cambiò.

Successe una sera, o forse sarebbe meglio dire una notte. C’era una nebbia che non si vedeva a due passi, fitta e densa, quasi solida.
Il gelo ti arrivava fino alle ossa, amplificato dall’umidità che ti avvolgeva senza lasciarti scampo.
Tornavo a casa dopo aver bevuto qualche boccale di sidro con alcuni amici. Sul viso avevo residui di sorriso, strascico della reazione chimico-energetica fra l’alcool e la piacevole serata.
Camminavo tranquillamente per le strade deserte della città, nel gelo, nell’umido, verso la mia piccola, accogliente casetta di pietra.
Mi muovevo nel buio quasi totale per le vie percorse mille volte, spostandomi da uno sparuto, misero baluardo di luce, proiettato da qualcuno dei rari lampioni superstiti, all’altro, attraversando mari d’ombra.
Anche i fantasmi, quella sera, erano tranquilli.
Non erano pochi né molti. Non che stessero fermi o che facessero silenzio. Però parevano essersi organizzati in una sorta di schema caoticamente ordinato.
Mi sembrava come di percepire le loro singole presenze. Non più un flusso indistinto, una moltitudine fusa e magmatica, ma singoli individui, entità con confini precisi e ben delineati. Probabilmente avrei potuto determinarne con accuratezza la posizione nello spazio, magari contarne il numero preciso in un dato momento. Forse, con un enorme sforzo di concentrazione, avrei potuto persino udirne le voci, se davvero di voci si trattava.
Arrivato nella mia casetta avrei acceso il camino e, sprofondato nella mia comoda poltrona, avrei sorseggiato un bicchierino di porto. Poi a nanna. Questi erano i piani: una perfetta, fredda notte autunnale. E anche i fantasmi sembravano d’accordo.
Procedevo esattamente con questi propositi quando, sul marciapiede, proprio sotto un lampione funzionante, camminando in senso contrario, mi passò accanto una ragazza.
Era bella, molto bella. Davvero molto bella.
No, non basta.
Giovane, alta, snella e atletica, con la pelle liscia e bianca come la neve. Lineamenti fini, decisi ma delicati, leggermente affilati. Occhi neri come lo spazio profondo, capelli corvini, lunghissimi, caoticamente spettinati con grazia e bellezza infinita. Aveva sulle unghie lo smalto nero; le labbra, bellissime, tinte di nero; gli occhi, per i quali un aggettivo adatto non lo trovai mai, truccati di nero.
Portava una canottierina quasi trasparente, nera. Una gonna poco più estesa della cintura che la sosteneva, nera. Calze a rete, nere. Maniche di rete, nere. Anfibi slacciati, neri. Piccoli guanti di maglia senza dita, neri. Dal lobo sinistro pendeva una piccola croce d’argento.
Tremava.
La nebbia l’avvolgeva, facendola uscire da un sogno gotico. La luce pioveva su di lei, sfocata nella bruma, come un’aura splendente. Comparve, mi passò accanto, scomparve, dal buio attraverso la luce di nuovo nel buio.
Mi passò accanto e mi gettò un’occhiata sfuggente; sul suo sublime viso malinconico un’impercettibile, curiosa perplessità, un attimo di sorpresa, poi passò oltre, nel buio.
Tremava.
Mi guardò come si guarda qualcuno che è girato dall’altra parte, che non ti vede. Mi guardò come se avesse visto i fantasmi e non me.
E, per un attimo, per un brevissimo intensissimo istante, per la prima volta da quando ho memoria di me, silenzio.
Non so quanto rimasi immobile a fissare il buio nel punto in cui lei era sparita, quanto rimanemmo a fissarlo, fermi, in silenzio, io e i miei fantasmi, che sembravamo essere una cosa sola. Pochi secondi credo.
Ma la prima boccata d’aria umida e gelata che ritornò a riempire i miei polmoni fu come un secchio d’acqua altrettanto fredda in faccia che ti strappa al sonno.
Quindi, lentamente, sommessamente, i fantasmi ricominciarono. E ricominciai anch’io, a camminare, a passo veloce. Dietro di lei.
Così eccola lì, che camminava di fronte a me, un piede davanti all’altro, la testa china e le spalle curve, stretta nelle sue braccia.
Tremava
Pareva persa nei suoi pensieri, straniata, come se non fosse lì, non del tutto. Non sembrava essersi accorta di me, che ora la seguivo in silenzio. E anche i fantasmi ronzavano più piano.
Mi levai la giacca e le arrivai alle spalle, in silenzio. Lei continuava a camminare, lentamente, in se stessa.
E tremava.


[Continua]


Parte prima

Spargi il tuo Amore, condividi l'articolo

Post correlati

No Response to "Morte - Parte seconda"

Posta un commento